Belle
le mani
che lavorano,
che si aprono e si chiudono,
si tendono
che abbracciano
e accarezzano.
Belli
gli occhi
che parlano e sorridono
che scrutano e conoscono
che si aprono e si chiudono
che piangono.
Belli
i piedi
che ci portano ovunque
toccano la terra
ora calda
ora fredda
che corrono e si fermano
che ci legano al suolo
come alberi viventi
senza fissa dimora.
Belli
i capelli
d’ oro e d’argento
d’ ebano e di neve,
fili di vento ed aria
di seta e di velluto
sciolte criniere
da sentire addosso.
Bella
la bocca
che regala il sorriso.
Belle
le braccia
da scaldare al sole,
che cullano i bambini
e seguono una danza.
Bello
esser vivi
nel battito del cuore
nel dolore di una ferita
nell’ essere e fluire
nei pensieri liberi
e ribelli.
Che mai finisca
questo stupore antico
per il miracolo divino
della vita.
Nelle tue mani
Signore
il mio destino.
(in ricordo di Loredana Barreca , 31-01-2002)
Tra queste marionette
immobili,
ti ritrovo
menestrello pazzo
colpito dal sole.
Sei nel loro sguardo vetrato
sei nel loro abito vecchio.
Il suono andato
delle tue canzoni,
dà parole a queste labbra,
rosate e mute
ridenti e gelate.
Tanto che,
tremo e mi aspetto
che all’improvviso tutte
prendano a cantare, impazzite
perché mosse a vita
da un furtivo
raggio di sole.
Cattura
le mie parole banali
stanno correndo
come cani impazziti,
dietro il bianco coniglio,
senza colpe.
Ho un fiore nuovo
fra le pagine del cuore
ma non ho parole nuove.
E’ il caso che io mi fermi
perché il bianco coniglio
ha bisogno di riprendere fiato.
E’ il pensiero più libero
di un sassofono magico,
pazze idee d’ oltreoceano
col mio sorriso si alleano.
Nel cassetto,
briciole di tabacco.
E le lacrime, sotto il tacco,
schiacciale
come le ossessioni
di chi vive nell’ imbecillità
più sorda.
Sensibile.
Il bianco fiore parla
le parole più sacre.
Sensibile.
Il Santo di legno smaltato
osserva.
Sensibile.
Il nero merlo poggia
l’ aranciato becco
sul filo d’erba.
Sensibile.
Per berne la rugiada
nel mattino di brina.
Sensibile.
La mano scruta i tuoi capelli.
Più sensibili
piangono gli occhi
per l’ innocenza ferita.
Acqua
pane degli orti
delle strade grigie
strade di città
di gente sofferente
di Etiopie nascoste,
nascoste male,
come arti mancanti
al ritorno dalla guerra.
Ho appeso al tuo chiodo
il mio spazio di cielo
e il mio spazio di terra,
ho graffiato la pelle
con le unghie affilate,
premuto fino a toccare il cuore
ho voluto vedere.
Ho sentito la terra
aprirsi sotto ai miei piedi
e ho perduto il mio io
già da molto tempo.
Ho acquistato magia,
da elargire in dono
a chi ha perso,
gli slanci e il sapore
dell’ acqua che nutre,
per tenersi più stretto
l’io costante che vieta,
l’io che mai traballa,
che condanna
e violenta,
questo squarciato
respiro di sogno.
Quante anime
può accogliere ancora
la parabola dei miei sogni,
la città tace
arroccata e antica
ma l’acqua del silenzio
non corre questo letto
stasera
qui voci stanche
ripetono
il dispetto di essere in vita.
Solo un poco di te
Mi addolcisce le labbra,
quel poco di te
che mi porto addosso
e mi dice che
t’ amo.
Solo un poco di te
mi rischiara la mente,
quel poco di te
che ha aderito all’anima,
e mi porterò addosso
nei giorni,
nel tempo,
senza avvizzire
senza peso
senza parole,
questo poco di te
che vorrei fosse tanto,
fosse vita da infondere
dentro i vicoli soli
del paese che dorme,
come è solo e perduto,
come porta il tuo nome
e il mio nome,
come sei dentro tutto
e capisco che
t’amo
e che ho un poco di te
da portare nel mondo.
Ruggine è
Il colore
della ferrovia
e l’alto albero di fico
è percorso dal rapido volo
di passeri vivaci.
Più in là
albicocchi di mare
si curvano
e ancor più belle
queste canne vicine
e verdi
frondose
tra i rovi di more.
Non ho mai visto
farfalle bianche
volare in moltitudine
come fossero uno stormo, migratore
eppure
eccole punteggiare vibrando
questa verde collina
che al sole
sta seccando.
Fossi una mora
fra quei rovi
avrei il mio posto
e il mio colore
anziché errare cercando
anziché cercare Dio
per non morire
non è così
mio Dio,
che ti volevo trovare.
Questo nuovo giorno di rancore
rinnega il mio credo
ma è portavoce di un sogno
a cui non so rinunciare
è canzone cantata
senza sosta
così come nel tempo
ruggine sarà il colore
della ferrovia
e albicocche e more
matureranno al sole
e al sole io vedrò
il mio nuovo giorno d’ amore
fruttificare
e perdonare il male
non sarà più
nemmeno un pensiero.
Canta, canta!
Burattino
occhi di cielo
e mani di legno
chinati, salta!
Hai per vita un giorno
un sogno, una storia
del temporale il tempo.
Seguimi, seguimi!
Burattino,
guance rosate
e testa di carta
ridi e più forte
t’ invento la vita
pure se taci
non è finita!
Ciglia dipinte
labbra socchiuse,
Voltati, gira!
Cantami un gioco
conta le perle
sul filo di seta
mostrami l’abito
a fiori e pois.
Chetati, chetati!
Burattino
reclina il capo
ma senza morire
domani
il sole
ti risveglierà!
Il sentiero è cosparso
di polveri antiche,
vecchi pezzi di carta a colori
posano leggeri
sul mio tavolo.
Ho oggi un nuovo bisogno.
Ho oggi quell’ antico bisogno
di sapermi insegnare
la vita.
Ogni giorno è un filo diverso
da intrecciare alla trama
ogni filo ha un colore che dice
parole miste alla gioia e al dolore.
Il sorriso della maschera ingenua,
appesa al muro,
si fa beffa di me,
dei miei pezzi di carta a colori,
del mio falso giudizio morale.
Non c’è vento che possa pulire
quel sentiero di polveri antiche
e la trama continua a intrecciare
fili opachi con fili d’argento
fili d’oro con fili di sacco.
C’è una fiaba
di lupi e bambini
di un giardino di meli fioriti
di casupole bianche e geranei
voglio un giorno narrarla anche a te.
Anche a te
che ancora non vivi
ma che già possiedi il tuo nome.
Tu vedrai
prima fra tutti
le mie lacrime
e non vorrò nasconderle.
Tu soltanto
potrai cambiare
questa roccia di egoismo
e ambizione.
Tu soltanto
varrai più di un sogno.
E per te
saprò cedere al tempo
e lasciare lo specchio riverso
la tua vita
non potrà che fiorirmi
di un bellissimo
autentico fiore.
Tu soltanto
varrai più di un sogno
bimbo che forse
io non avrò.
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